(Non scrivo molto di politica, ma se ne scrivo, ne scrivo su Listed. In ogni caso, questo che stai leggendo è un post che parla di politica.)
In materia politica, ovvero nel descrivere le dinamiche in corso in questa nostra Italia, possiamo analizzare giorno dopo giorno tutto quello che accade: dichiarazioni, posizioni, siparietti, inchieste, e chi più ne ha più ne metta. Tuttavia la lettura oggettiva — e soprattutto sensata in termini di effettiva utilità — di quanto accade non può prescindere da una radicale sintesi, ovvero la capacità di vedere non già l’inutile dettaglio, ma lo scenario globale che si è venuto a determinare.
L’orizzonte temporale è a mio avviso molto preciso, e fa chiaro riferimento a quanto accaduto dalla pandemia in poi.
L’apice del “voto populista” si registra alle elezioni del 2018, dove i partiti che affiorano prepotentemente sono la Lega di Salvini e il Movimento 5 Stelle, all’epoca ancora rappresentato da “nomenclature sotto l’egida del grillismo”.
Subito dopo parte l’era dei mandati di Giuseppe Conte, che nella sua prima parte non registra sostanzialmente alcun cambiamento in termini di successo. La stessa Lega salviniana, alle europee di un anno dopo rispetto all’insediamento, arriva a prendere addirittura il 36% dei consensi, di fatto attestandosi come primo partito populista in Italia.
Cosa accade dopo? Semplice: accade la pandemia, che di fatto ribalta completamente il quadro del voto. La Lega perde improvvisamente — lo si vedrà in modo chiaro alle nazionali di fine 2022 — oltre il 70% del suo consenso, e il Movimento 5 Stelle passa complessivamente dal 30% delle nazionali del 2018 a un 15% circa.
Ad avvantaggiarsi di tale dinamica è ovviamente, e in modo puramente congiunturale, l’unico partito populista che ancora non aveva avallato le (a mio avviso) giustissime, ma oggettivamente scomode politiche di contenimento pandemico: parliamo di Giorgia Meloni e del suo Fratelli d’Italia, che di fatto assorbe quasi tutto il voto che fu della Lega.
Dal mio punto di vista, l’analisi potrebbe tranquillamente fermarsi qui, visto che ad oggi non è intervenuta alcuna fattispecie confrontabile alla pandemia che possa dirsi tale da indebolire il consendo di FdI. Certo, ci sono decine e decine di incoerenze, promesse gettate alle ortiche, voltafaccia in sede europea, e via discorrendo. Ma si tratta di noccioline, diciamocelo chiaramente, rispetto a quelle che oggettivamente sono state le conseguenze (ribadisco, a mio avviso necessarie) della pandemia e delle contromisure ad essa relative in materia di economia diffusa.
La mia personale opinione è che questo governo non arriverà a fine mandato, ma tale probabile interruzione non sarà certo dovuta a dinamiche messe in atto dall’opposizione parlamentare. La crisi politica — qualora tale da tradursi in crisi di governo, cosa comunque, lo premetto, tutta da dimostrare — può evidenziarsi solo all’interno di un centrodestra oggi chiaramente dissestato e a conduzione unica.
Se è vero infatti che il potere può essere un ottimo collante per saldare amicizie non proprio schiette, è anche vero che lo stesso potere può essere motore di invidie interne che, opportunamente sollecitate, possono sfociare in congiure del tutto inedite.