Nessuno sapeva chi avesse costruito il palazzo, né quando, né perché. La sua storia di vetro e cemento affondava con tutta probabilità in tonnellate di carte che giacevano in uno o più uffici del mondo di fuori. All’interno, il vuoto sovrastava abbondantemente la rada popolazione, e nessuno sembrava avere la più pallida idea di quale fosse la storia del suo vicino di stanza.
Negli androni, ogni tanto si svolgevano eventi carichi di improvvisi entusiasmi: concorsi pianistici, pranzi, riunioni, feste allietate da ghirlande di carta crespa colorata. Il caos che in un attimo si creava in una zona del palazzo veniva immediatamente neutralizzato dal silenzio che chiunque avrebbe potuto ascoltare fuggendo poco più in là, in uno snodarsi di cunicoli e nuovi vani del tutto deserti, estesi in ogni direzione. L’origine dell’acqua corrente e del costante tepore che trasudava naturalmente da ogni muro erano sconosciuti, o ignorati, anche perché ormai nessuno si sarebbe posto il problema di uscire per testare condizioni atmosferiche o logistiche alternative: il palazzo era ovunque, e il panorama grigio pallido che si poteva scrutare dalle gigantesche finestre di cui ogni cubicolo era dotato veniva ormai percepito, dopo mesi o anni di consuetudine, come una musica di sfondo, come quella che qualcuno avrebbe potuto ricordare, pur non ricordandone l’origine.
Tutti, infatti, o almeno tutti quelli che si potevano incontrare nel palazzo, erano consapevoli di un mondo che al di fuori annoverava aeroporti e sale d’attesa, scuole e ville private, monumenti e manufatti di un remoto passato la cui storia non aveva ormai alcun significato, ma era in qualche modo esistita tanto da risultare fissata almeno come scolorito archetipo nella mente di ciascuno. Eppure, nessuno arrivava a pensare che la possibile esistenza di tutte quelle cose, o solo di alcune, potesse avere un ruolo nella sua vita concreta.
Ogni divertimento e ogni riflessione, così come ogni tentativo di scovare qualcosa di nuovo e interessante, avvenivano nel palazzo: la scoperta di un vinile o di una partitura, di un computer definitivamente non funzionante, di una foto, di un quadro. Fatti e avventure si svolgevano e dissolvevano in attesa d’altro, come assorbite dal silenzio e dal buio che ogni sera accompagnava il sonno, in attesa di un nuovo giorno.