Stato dell’Essere e Creatività

Riporto di seguito un mio scritto personale, da tempo nel cassetto digitale…

Ciascuno di noi si trova in uno “stato”, ossia in una configurazione dinamica di azioni quotidiane, possibilità e impossibilità, coercizioni, potenzialità, abilità, che compaiono sostanzialmente identiche giorno dopo giorno, e che più o meno lentamente evolvono verso “stati” temporalmente contigui.

Il concetto di “stato” è ovviamente e fortemente legato alle condizioni economiche, sociali e lavorative che caratterizzano la nostra vita. Non per niente si parla di “status sociale”, utilizzando una parola di diretta derivazione.

Il concetto operativo e concreto di “stato” individua due affermazioni immediatamente conseguenti: la prima è che noi “compiamo azioni all’interno del nostro stato”, e la seconda è che “ciò che facciamo è inevitabilmente legato e conforme al nostro stato”, ovvero può esistere solo se coerente col medesimo.

Due esempi per capire cosa intendo sono presto detti, ma il secondo presenterà una questione piuttosto interessante da valutare.

Il primo: Indipendentemente da quelli che possono essere i miei gusti personali in materia di automobili, io non guido un Ferrari Testarossa per il semplice fatto che il mio “stato” non mi permette di acquistare e mantenere un’auto così lussuosa. L’auto che posso permettermi di guidare è coerente col mio “stato”, ed è evidentemente un’utilitaria.

Il secondo: Il mio “stato” può permettermi di acquistare e leggere un libro. Ma questo libro, che evidentemente leggerò “nel mio stato”, ossia non già all’interno di una suite d’hotel categoria lusso a Londra, ma con tutta probabilità al parco, o nel salotto di casa, perché lo sto leggendo? Semplicemente per intrattenermi o imparare qualcosa che posso esercitare “nel mio stato”, oppure per passare dal mio stato attuale a un altro stato?

In questo dilemma c’è tutta la difficoltà interpretativa tipica del dare un senso a quello che facciamo, ossia nello scegliere in modo lucido e attendibile tra due estremi: da un lato il fare le cose solo per renderci migliori all’interno del nostro stato; dall’altro il farle per trasformare il nostro stato in qualcosa d’altro, ovvero in un “altro stato”, che si suppone migliore e superiore.

Logicamente, tornando al tema della creatività, le cose non sono poi così chiare. C’è chi ama sia il suo mestiere che i vari hobby che il medesimo permette di svolgere attraverso i frutti reddituali che lo accompagnano, oppure chi non sa bene perché stia facendo una certa cosa, in quanto non ha informazioni bastanti su sé stesso, o su ciò che lo circonda, o su entrambi.

Dal mio punto di vista, credo che anche in ambito creativo sia fondamentale capire dove si vuole andare ponendo in atto un certo comportamento. Sto scrivendo il mio diario personale per giungere a scrivere un romanzo, oppure lo sto scrivendo semplicemente per tenere traccia di idee e nomi che possono rivelarsi interessanti?

Anche in questo senso le azioni possono comunque fare riferimento a uno scenario molto ambiguo. Io posso per esempio iniziare qualcosa per puro divertimento o intrattenimento “all’interno del mio stato”, probabilmente ritenuto immutabile o ben poco modificabile. Questa passione potrebbe però diventare pure un mestiere, ammesso e non concesso che io cerchi questa svolta.

Per quel che mi riguarda, credo serva ragionare in modo aperto, ma nel contempo lucido. Se non cerchiamo qualcosa, può esserci anche la possibilità di trovare “ciò che non sappiamo ancora essere quello che cerchiamo”, ma è piuttosto difficile che questo avvenga. Per trovare una via dobbiamo necessariamente immaginare degli scenari che possano essere ragionevolmente adatti a noi.

In generale, serve fare esperienza, ovvero sporcarsi le mani. Difficilmente possiamo intuire la portata di un atto creativo senza averlo implementato. Quindi la pianificazione è importante, ma non vale nulla, in termini percettivi, se non si traduce in un’azione concreta dove mettiamo in gioco quello che sappiamo fare.

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