La Stilografica e l’Oblio

fountain pen on black lined paper

Prenderò il tema di questo articolo un tantino alla lontana, partendo da un video che mi ha fatto molto riflettere. In sé e per sé, nel video si parla di un argomento molto specifico: le penne stilografiche. A parlarne è un grande esperto del settore, Stephen Brown, youtuber da tempo riconosciuto come autore di recensioni che sono diventate un vero e proprio punto di riferimento per gli appassionati di questo sistema di scrittura.

L’argomento del video, però, non ha a che fare con uno specifico modello di penna da descrivere, o con qualsiasi fattispecie possa essere confinata nell’angusto novero della passione verso la scrittura con pennini e inchiostri liquidi. Si parla infatti di giovanissime generazioni di fronte al puro e semplice strumento stilografico, inteso come oggetto e nulla più.

Il nostro Stephen Brown, che è anche docente (credo di psicologia), e dunque ha a che fare con studenti nati all’incirca nei primissimi anni Duemila, a un certo punto si accorge di una fattispecie che lo colpisce particolarmente. Un suo allievo, prendendo in mano una stilografica (evidentemente offerta più o meno per caso dal suo insegnante, magari durante una pausa), inizia a osservarla da tutti i lati, e, provando a usarla per scriverci qualcosa, non si sa se spontaneamente o per un invito da parte dello stesso Brown, la pone sul foglio in una posizione totalmente contraria a quella corretta.

Una banalità? Certo. Ma una banalità che colpisce l’attenzione del nostro youtuber…

Ora, non stiamo dicendo che l’allievo in questione abbia iniziato a scrivere con questa penna in modo goffo, oppure che — come assolutamente legittimo — non abbia mai provato a scrivere con una stilografica, o ancora che la scrittura con inchiostro liquido e pennino non sia fatta per lui, come per tanti altri. Stiamo invece parlando di un giovane di circa una ventina d’anni, quindi non certo un bambino, che una penna stilografica non l’ha proprio mai vista in tutta la sua vita!

Stilografiche a parte, questa considerazione ha prodotto in me il classico cortocircuito, in quanto ho iniziato a collegarla a numerose fattispecie generazionali che io stesso noto, e che io stesso posso ricostruire anche solo mentalmente facendo uno più uno, giungendo a conclusioni che a mio avviso dovrebbero farci riflettere.

Così come un ventenne oggi può non sapere minimamente cosa sia una stilografica, per il semplice fatto di aver vissuto in un sistema che non l’ha mai posto neppure per sbaglio davanti a un oggetto del genere, nello stesso modo questo giovane — occorre ribadirlo, parliamo di un uomo, non un bambino — potrebbe non aver mai visto un film di Kubrick, o di Stanlio e Ollio, o del classico Hitchcock anni Cinquanta, solo per citare alcune delle centinaia di proposte cinematografiche che da ventenne, ossia una scarsa trentina d’anni fa, io avevo già da tempo abbondantemente visionato più volte attraverso il servizio pubblico.

Attenzione, io non sto parlando di opere “alte” da preferire esclusivamente ad altre “basse”, esattamente come non sto parlando di una scrittura “nobile” che possa essere imposta come standard rispetto a quella con una penna a sfera, e ci mancherebbe. Il problema è più che mai un altro. Io, come sapete, sono un musicista uscito dal Conservatorio, eppure vi posso assicurare che durante tutta la mia infanzia e prima giovinezza ho ascoltato e amato veramente di tutto, dal rock a Chopin, dal rap a Brian Eno, da Aznavour a Beethoven, passando per Luciano Berio e David Byrne, De André, i Duran Duran, Neneh Cherry e John Zorn, fino alle sigle dei cartoni animati giapponesi, e anche in questo caso la lista potrebbe continuare a lungo. Il fatto è che queste cose le ho ascoltate in quanto mi è stato concesso di ascoltarle.

Insomma, ignorare completamente l’esistenza di una scrittura stilografica storicizzata, e magari preceduta da un’altra a base di inchiostro di china e penna d’oca, oppure non sapere minimamente dell’esistenza di un cinema mystery anni Trenta, o non aver mai visto, accanto alla trilogia di Back to the Future, anche Fright Night o Il Fantasma del Palcoscenico, solo per restare nella cinematografia e non addentrarmi nello sconfinato campo dell’editoria letteraria, io credo sia qualcosa di altamente lesivo dell’individuo e della sua capacità di vivere il suo presente in modo critico, consapevole e autonomo a livello intellettuale, estetico, morale.

La nostra sembra configurarsi sempre più come una civiltà dell’oblio comandato. Coltiviamo competenze fertili in uno scenario contestuale sempre più sterile. Abbiamo decine e decine di licei e non riusciamo a creare le premesse di un insegnamento alla vita, prima ancora che al mero lavoro. Formiamo automi catatonici, non persone. I grandi festival sono diventati talent show, la discografia segue le operazioni a tavolino condotte in vitro in format televisivi e reality. Tutto ciò che viene additato dal mainstream come “qualità” altro non è che un compitino per casa svolto diligentemente sulla base di dettami stabiliti non si sa bene da chi, forse da un’intelligenza artificiale in malafede.

Insomma, che ne sarà delle stilografiche? Verranno dimenticate? Non lo so. Sta di fatto che alle stilografiche possiamo anche rinunciare. Ma a cosa rinunceremo poi?

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