Da tempo volevo scrivere questo post. A frenarmi la percezione di un argomento che mi avrebbe portato lontano, forse troppo, in una trattazione generale delle cose che a mio avviso in questi anni sono andate storte sul piano dell’arte e dell’estetica. Nello specifico, il punto di partenza è una complessiva disamina, nonché aspra critica, di uno dei fenomeni cinematografici certamente più longevi della storia del cinema.
Sto parlando di Guerre Stellari, ovvero di quella saga ideata e portata sul grande schermo da George Lucas.
Ma andiamo con ordine, e poniamo sul piatto tutte le premesse del caso, che sono varie e fondamentali per comprendere il mio giudizio — badate bene — sull’intera operazione cinematografica, ovvero narrativa.
Tanto per capirci, io sono nato nel 1975. Per ragioni puramente anagrafiche, quindi, la mia infanza è stata intimamente caratterizzata dall’influsso culturale ed estetico della “trilogia classica” lucasiana.
Il primo film della “serie”, intitolato semplicemente Star Wars, esce nel 1977, e da subito ottiene un incredibile — e meritatissimo — successo su scala planetaria. Il film lo conoscete spero tutti. Parla di un impero galattico crudele e spietato, di una resistenza formata da ribelli, di una mitica confraternita di cavalieri votati alle forze del bene, di un cavaliere perduto nel “lato oscuro” e passato alle forze imperiali, nonché di intrecci famigliari, rapporti tra allievi e maestri, contrabbandieri dal buon cuore e appunto battaglie stellari in un’ambientazione che fonde il fantasy alla fantascienza.
Gli elementi costitutivi dell’estetica di Star Wars sono molto particolari, e di fatto pescano da riferimenti culturali che vanno da Il Signore degli Anelli di Tolkien al Dune di Frank Herbert. Più precisamente, in riferimento a questo secondo titolo letterario, per moltissimi versi questa prima trilogia corrisponde al “vero” Dune in senso cinematografico, ossia di una storia fatta di redenzione e di evoluzione ambientata in un futuro lontanissimo, con echi di un passato che ricorda molto il Medioevo. A tale proposito, da notare che il testo di Herbert, proprio alla fine degli anni Settanta, si sarebbe dovuto tramutare in una colossale opera cinematografica a firma Alejandro Jodorowsky, progetto non andato in porto in quanto eccessivo da tutti i punti di vista.
Insomma: Star Wars si poneva oggettivamente, nel qui ed ora del 1977, come risposta cinematografica reale a tutti i fermenti culturali e intellettuali dell’epoca, ivi compresa l’elucubrazione “lisergica” di Jodorowsky, nutrita da suggestioni tra arte, fumetto e metafore (basti pensare alla guerra fredda e all’auspicio di un disgelo tra blocchi geopolitici).
A cavallo tra 1977 e 1983 vanno dunque in onda i tre capitoli di quella che per svariati anni è stata la saga completa di Guerre Stellari; ovvero, dopo il primo omonimo capitolo, la prosecuzione della storia con L’Impero Compisce Ancora e Il Ritorno dello Jedi.
La storia conclusasi con l’ultimo capitolo è perfetta, compiuta, simmetrica, e chiude l’intera vicenda con una riconciliazione e un generale senso di perdono e redenzione: il cattivo Dark Vader, cavaliere jedi sedotto dalla parte oscura della Forza, si riconcilia col figlio, e torna ad essere, in forma di pura energia, l’originario Anakin Skywalker.
Ebbene, a distanza di vent’anni, George Lucas decide — diciamocelo ben chiaramente e senza giri di parole — che è venuto il momento di fare un po’ di soldi con la storia che lo ha reso celebre, e certamente lo ha fatto vivere di rendita fino a quel momento. Si inventa dunque — e si inventa di sana pianta, visto che tutte le storielle sulla presenza di un piano dell’opera già in origine più vasto io proprio non me le bevo — l’idea non già di un sequel, come di solito avviene nel cinema (anche con esiti discretamente buoni, come per Indiana Jones), ma di un prequel, che analizzi quanto accaduto prima degli eventi narrati nella trilogia classica.
Dal 2002 vengono quindi prodotti altri tre capitoli, che, narrando le vicende pregresse e non successive, compiono secondo me uno scempio assolutamente visibile e intollerabile, con l’aggravante di non riguardare solo i nuovi episodi, ma pure i vecchi, che vengono non già restaurati, ma rieditati e volgarmente manipolati in un’operazione retroattiva volta a violentarli e a trasformarli in “pezzi” di una nuova saga.
Una prima lacerante contraddizione estetica è data dal pesante uso di grafica digitale, la quale caratterizza scenari e personaggi che non hanno praticamente nulla a che fare con la cinematografia a cavallo tra Settanta e Ottanta, di per sé calda, “pesante” e paradossalmente più credibile.
Prendiamo per esempio Yoda, il gran maestro jedi che a sorpresa compare del secondo e nel terzo capitolo classico. Si tratta di un vero e proprio muppet, un esserino comico, ammiccante, strano, non per niente animato “a mano” proprio dal leggendario Frank Oz. La sua resa estetica è un tutt’uno con i primi anni Ottanta, ed è esattamente questo il messaggio visivo che trasuda dalla vecchia pellicola: il tuo maestro spirituale non è un eroe muscoloso e temerario, ma un mostriciattolo ridicolo, bambinesco e apparentemente fragile.
Ora, la versione temporalmente precedente, ma cinematograficamente successiva di questo importantissimo personaggio propone una sua caratterizzazione radicalmente diversa, fredda, senza peso, artificiale e chiaramente scolpita a colpi di grafica tridimensionale computerizzata. L’effetto è straniante. Come può essere questo lo Yoda che ho conosciuto a suo tempo? E la risposta è semplice: questo non è quello Yoda, ma lo Yoda che abbiamo manipolato e falsificato per costruire una saga di sei episodi che saranno venduti come pacchetto unico alle nuove generazioni.
Non si tratta ovviamente solo di Yoda. Tutti i film della “trilogia prequel” porgono un’estetica moderna, ridondante, completamente priva delle linee e dei cromatismi tipicamente seventies che abbiamo conosciuto da ragazzini, e appaiono tanto più falsi quanto più questa adulterazione viene compiuta in riferimento a un tempo precedente, e non successivo rispetto alla storia. Ecco dunque il senato galattico, sorta di alveare che sembra uscito da un tutorial di rendering 3D, astronavi che sfrecciano nell’etere del tutto identiche a quelle che compaiono in centinaia di film “moderni”, scenari epici che ormai non comunicano più nulla nella loro automazione geometrica (lontana anni luce dalle grafiche dei grandi illustratori della fantascienza, si pensi a Karel Thole), per non parlare della totale assurdità estetica — carica di effetti barocchi, geometrie contemporanee, eccessi cromatici e formali — che si incontra nella costumistica e nel trucco, con personaggi che mentalmente non riusciamo assolutamente a collocare in un “prima” che non riusciamo a decifrare e giustificare, e che di conseguenza ci suona fasullo.
Insomma, per concludere, l’operazione “Star Wars prequel 2000s” è stata chiaramente dettata non già da urgenze artistiche, ma dalla banale volontà di alimentare un nutrito fandom a base di personaggi e comparse, mostriciattoli tridimensionali fatti con uno schiocco di dita, un “universo espanso” che sarebbe tornato utile in qualsiasi momento, e mille occasione di compravendita gadget, videogame e chi più ne ha più ne metta.
Ma non è finita qui. La volontà di violentare il giusto passato per renderlo coerente con l’ingiusto futuro raggiunge il suo apice di menefreghismo quando ci rendiamo conto che gli stessi film della trilogia classica sono stati manipolati, ora in modo subdolo e subliminale, ora con intollerabile spudoratezza. Il finale del terzo film (1983), infatti, introduce la figura spirituale di un Anakin Skywalker giovane, che nulla ha a che fare con l’attore che lo interpretava nella celeberrima scena della scoperta della paternità da parte di Luke Skywalker. Oltre al danno di non avere più questo storico finale, gli estimatori si sono visti pure sottratta l’iconica canzone che concludeva la saga storica.
Diamo uno sguardo alla versione originaria…
E confrontiamola con quella, retorica e vuota, della seconda versione. Notiamo appunto la sostituzione dell’attore, una musichetta che censura radicalmente il jingle (Yub Nub) che — ve lo assicuro — negli 80s girava anche in radio, e integra delle scene assolutamente artificiali e decontestualizzate stile ultimo dell’anno.
La prova provata di quanto affermo non è solo in quanto descritto, ma anche in ciò che è accaduto dopo, ulteriore tassello di questo quadro desolante. Nel 2015 prende avvio un’ennesima trilogia, questa volta sequel, prodotta dalla Disney, che nel frattempo aveva direttamente acquistato tutto il pacchetto della LucasFilm Ltd. Questa trilogia non fa altro che mettere in scena qualche anziano attore icona della serie classica, cucendo a fatica una storia non richiesta, forzata, con personaggi del tutto stereotipati che prendono il posto di quelli storici senza alcuna motivazione forte: bambocci viziati che non si sa perché cedono al lato oscuro, ragazze della porta accanto che non si sa perché detengono un potere stile Harry Potter, vecchi cavalieri jedi che non si sa perché si sono ritirati a vita privata e non si sa perché vengono poi convinti a tornare all’opera, non si sa perché. Il tutto in una salsa da puro videogame ed esercizio di stile che di Star Wars e della sua filosofia originale e originaria non ha ovviamente più nulla.
Il fatto che quest’ultima trovata commerciale sia da dimenticare è evidente dalle decine e decine di recensioni YouTube che potete tranquillamente trovare in rete, e che affermano e motivano questo giudizio molto meglio e con più dovizia di particolari di quanto possa fare io.
Ma il punto generale è un altro, e riguarda non solo il portafoglio del furbo Lucas, ma l’intero comparto della produzione cinematografica ormai da anni a questa parte.
Conclusioni
Che un film sia fatto per guadagnare, non ci sono dubbi, e sono l’ultimo a pensare che un’opera d’arte non debba essere foriera di meritato denaro da devolvere a chi l’ha prodotta e spero anche a chi l’ha concepita. Ma attenzione. Un film non è solo un espediente per guadagnare soldi. Un film, un qualsiasi film, a maggior ragione un capolavoro, o comunque una pellicola significativa, è anche un pezzo di storia, un tassello della memoria collettiva che ci ricorda a distanza di tempo anche il mondo in cui è venuto alla luce.
Cosa diremmo se gli storici film western di Sergio Leone venissero doppiati con altre voci, o privati delle colonne sonore originali di Ennio Morricone, o corretti con tecniche di grafica digitale per cambiare determinati messaggi o intere scene? Chiaramente ci sentiremmo violentati, esattamente come mi sentirei violentato se andassi a comprare un album storico di Fabrizio De Andrè e ci trovassi dentro canzoni con un arrangiamento completamente stravolto.
Il caso plateale delle trilogie prequel e sequel di Star Wars rappresenta a mio avviso la metafora più eloquente di come agisce la corruzione. Fanno passare qualcosa in modo leggero e subdolo. Poi, una volta che il cambiamento è metabolizzato dal pubblico, lo rendono ancora più aspro, per vedere l’effetto e quindi decidere se continuare o fermarsi momentaneamente. Se il pubblico, come la classica rana bollita, si sente a suo agio nella pentola in cui l’acqua comincia a salire di temperatura, ecco che interviene un ulteriore aumento, fino a che la rana non viene definitivamente cotta.
Se ci pensiamo, la stessa dinamica sta intervenendo nella politica, nei valori, nell’estetica, nello smantellamento di diritti che fino a tre o quattro decenni fa erano la base del vivere civile. Abbiamo perfetti incompetenti che ci governano, ma non ce ne accorgiamo più; anzi ci sembra che tale incompetenza li renda più simpatici, più simili a noi. Ecco dunque la corruzione al potere (che all’epoca di Tangentopoli determinava una reazione a catena in grado di disintegrare intere classi partitiche, e che oggi non viene minimamente considerata, tali e tante sono le sue ormai dilaganti manifestazioni), la corruzione estetica e intellettuale (film tutti uguali, immagini generate dall’intelligenza artificiale tutte uguali, etc…), la corruzione come inesorabile declino della memoria per rendere la plebaglia votante una variabile completamente sotto il controllo di pochi furbi nelle stanze dei bottoni.
Ecco. A me questa cosa ovviamente non piace, e spero di vedere più film restaurati che film violentati e manipolati nel nome di un puro guadagno, che, diciamocelo chiaramente, potrebbe essere perseguito anche senza offendere il passato e la sacrosanta facoltà di riviverlo in senso critico e costruttivo.