Caos: un Capitolo

Riscrivendo la realtà utilizzando nomi alternativi di personaggi immaginari non si otterrebbe un romanzo, ma una telenovela brutta e noiosa, neppure in grado di tenere incollate allo schermo le più devote adoratrici dello shopping compulsivo.

Questo non è il caos, ma la narrazione del caos. Stando alle parole dei giornalisti prezzolati che quotidianamente animano con le loro pessime cronache la carta dei giornali, analogica o elettronica che sia, là fuori dovrebbe esserci chissà che casino. Eppure a me pare che il mondo sia sempre lo stesso. Solo più banale, violento, inconcludente. Super Biondo sta promettendo mari e monti, eppure mi sembra che, nove su dieci, le sue promesse sotto forma di rivoluzioni si riducano a parole pronunciate dall’alto di un pulpito elettorale. Una volta presi i voti, a contare è solo una strategia di mantenimento, con qualche giullare che rilancia gli slogan e nulla più.

Ho visto oggi Tech Boy con un cappello sovrastato da una grande forma di formaggio. Esca per topi da cartone animato? Postmodernismo? Io lo chiamo teatro permanente del consenso utile, e dico “utile” perché la gente che lo veicola non conta nulla. O meglio, conta eccome, ma nel suo starsene zitta e buona, di fronte a uno schermo di social network infuocato da botte e risposte.

A proposito. Lo stesso Super Biondo mi ha censurato. Non lui, ovviamente, ma il suo comparto di moderazione della Nuova Pravda. Troppa propaganda di moneta digitale, forse. So che la cosa può suonare paradossale, ma tutto, nel passaggio dalla forma (lo sbraitare del pubblico pagante) alla sostanza (i cocktail sorseggiati su una bianca spiaggia alle Isole Vergini) è per sua natura paradossale. Nel Caos, che è in realtà l’ordinatissimo regno di ERIS, funziona così.

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