Maratona Twin Peaks “Il Ritorno” Parte 1

Non basta inquadrare un attore fisso per un minuto, o mettere in scena un nano, per essere David Lynch. Questa cosa dovresti saperla soprattutto tu, David Lynch.

Filippo Albertin, dopo aver visto i primi episodi della terza stagione (2017) di Twin Peaks

Ebbene sì. Continuando la già nota maratona, ho iniziato a vedere la tanto acclamata (e attesa) “terza stagione” di Twin Peaks, che suona certamente più come reunion del cast che come effettiva continuazione di una storia che affondava le radici negli schemi televisivi di 25 anni fa.

Che dire. Come esordio di stagione, specie considerando i difetti delle ultime puntate delle prime due storiche stagioni, che credo molti di noi immaginavano come frutto di una certa stanchezza tipica dei set di prodotti seriali, non mi piace molto. Ossia, mi aspettavo oggettivamente qualcosa di più.

Non mi piace in quanto si capisce perfettamente che intende rimettere in scena qualcosa che di fatto aveva già preso la torbida via di una soap opera, più che di una narrazione a sfondo filosofico ed esoterico. Non mi piace perché, soprattutto, si capisce quanto la produzione sia più che mai tra due fuochi: da un lato la necessità, o opportunità, di rimettere in scena i vecchi personaggi, con tutte le loro manie e caratteristiche; dall’altro lato, l’onere di inserire a tutti i costi elementi misteriosi, che di fatto aggiungono confusione a un sottotesto già confuso.

Scene troppo lunghe. Elementi troppo criptici per avere un effettivo significato credibile, tanto da indurre lo spettatore a credere che neppure gli sceneggiatori sappiano dove andare a parare. Schemi narrativi e visivi che non catturano l’attenzione, o peggio la conducono in troppi punti, senza alcuna soddisfazione. L’alone di mistero è abbondantemente sostituito da una sorta di astrazione generale, resa ancora più fastidiosa da una lentezza totalmente ingiustificata rispetto ai contenuti, e da una fissità innaturale — ergo, per nulla ipnotica — delle inquadrature, delle situazioni, delle scene in quanto tali. Troppa carne al fuoco, si direbbe.

Che dire. Ovviamente non si può giudicare una serie dai suoi primi due episodi, ma per ora lo posso dire senza tanti mezzi termini: avrei fatto di meglio. Un lucido sguardo alle produzioni che da allora si sono avvicendate, infatti, mi avrebbe messo sulla via di una più solida interpretazione del mistero alla base della cittadina delle “vette gemelle”, con la volontà di rivelarlo con una ritmica non dico serrata, ma almeno in grado di tenere lo spettatore incollato allo schermo. Non possiamo avere a che fare contemporaneamente con un segreto militare stile X-Files, che poi diventa rivelazione metafisica (alla “Hanging Rock”, per dire), che poi assume le sembianze di una possessione stile antica leggenda degli indiani d’America, che poi sfuma in una miriade di ammiccamenti confusi, fino addirittura a toccare caratterizzazioni vicinissime agli esperimenti governativi in Stranger Things. In questo modo la serie diventa troppo d’avanguardia per essere un prodotto popolare, e troppo popolare per essere un prodotto d’avanguardia.

Cultura Pop, Metafore, Simboli e Richiami Esoterici in Twin Peaks

Come ho già detto, sto in questo periodo rivedendo (ovvero, vedendo per la prima volta, anche se la cosa può sembrare strana) le prime “storiche” due stagioni di Twin Peaks. Ho già parlato dell’importanza iconica di questa serie del 1990-91, ma mi andava di approfondire ulteriormente. Mi soffermerò senza una particolare logica consequenziale du aspetti specifici…

Le due stagioni

C’è da dire subito una cosa: la suddivisione in due stagioni non ha alcun valore narrativo, ma solo temporale, in quanto la storia viene letteralmente tagliata con l’accetta nell’ultimo episodio della prima, e si collega direttamente al primo della seconda, senza alcuna soluzione logica di continuità. Da questo punto di vista, l’opera che “classicamente” identifichiamo in Twin Peaks assume di fatto la forma di un’unica grande sequenza di episodi.

Questa considerazione, che potrebbe anche sembrare banale, potenzia ulteriormente il concetto di work in progress che denota questa serie e la avvicina a un prodotto “mezzo sperimentale e mezzo popolare”, con ampie incursioni nella serialità tipica delle telenovelas sia statunitensi che sudamericane.

Non posso ovviamente affermarlo con totale certezza, ma credo che la sceneggiatura ad opera del duo Lynch e Frost non sia stata scritta da cima a fondo, ma si sia generata attorno a schemi e intuizioni sviluppati gradualmente, in un secondo momento, o addirittura improvvisati sul set sulla base di un canovaccio generale.

Stile e temporalità

Se dicessi che siamo al cospetto di un totale capolavoro, che tiene incollato lo spettatore minuto dopo minuto allo schermo, direi oggettivamente qualcosa di molto discutibile. Senza alcun dubbio, la narrazione, specie attorno al decimo episodio della seconda serie, in certi punti diventa particolarmente noiosa, in quanto gli elementi che caratterizzano le singole vicende parallele dei vari personaggi a tratti sembrano seguire logiche del tutto autoreferenziali: scenette comiche, ammiccamenti, azioni che non portano ad alcun avanzamento della trama, misteri che sembrano citati a casaccio, o che mettono in scena stranezze che lo spettatore fatica a mettere in relazione al tema generale. Tuttavia, nonostante queste giustapposizioni, la serie si mantiene interessante.

Da un punto di vista percettivo, questa serie — che, lo ricordiamo, andava in onda non già in una piattaforma di streaming, ma lungo la programmazione televisiva standard, con lunghi intervalli di attesa tra un episodio e l’altro — funziona esattamente come una sorta di soap opera. Ossia, sullo schermo si muovono dei personaggi che per varie ragioni ci stanno simpatici (o profondamente antipatici), e che non si sa bene perché desideriamo rivedere, seguire, tornare a frequentare.

La componente misteriosa è una sorta di cifra stilistica aggiunta, come un ingrediente particolare che viene dosato in un cocktail di base in proporzioni variabili, per testare l’efficacia di un intruglio del tutto nuovo. In altre parole, siamo al cospetto di un test, di una specie di esperimento sociale che utilizza il pubblico come scandaglio, quasi sempre ricavandoci qualcosa di buono, visti gli ascolti record e la portata ormai storica di questa produzione che senza alcun dubbio etichettiamo come cult.

Una tranquilla cittadina rurale americana…

Quante volte, dai romanzi di Stephen King alle decine e decine di serie televisive partorite lungo anni e anni, ci siamo trovati di fronte alla tranquilla cittadina rurale americana che nasconde segreti occulti? Direi molte. Questo topos è talmente frequente da meritare un approfondimento addirittura antropologico.

Twin Peaks è appunto il nome della cittadina che ospita i fatti e le relazioni di questa storia così articolata e grottesca, segno evidente che il vero protagonista, in questa serie, non è tanto l’investigatore inviato dall’FBI per far luce sugli enigmi della zona, ma la zona stessa, che in qualche misura agisce attraverso i personaggi, li ipnotizza, li chiama, li ispira, ne interpreta aspirazioni, sogni e desideri. Il vero protagonista è il mistero che per definizione non viene rivelato mai, se non attraverso indizi spesso contraddittori.

Il background subliminale massonico…

Gli ingredienti di questo mistero passano attraverso frasi criptiche, sogni, prodigi, diari ritrovati, possessioni demoniache, allusioni a segreti militari, leggende, citazioni… Tanto per dirne una, le strutture alberghiere del posto pescano a piene mani nella versione kubrickiana del celeberrimo Overlook Hotel, e numerosissimi decori degli interni ricordano direttamente Shining. C’è un’attenzione molto particolare al colore rosso dei tendaggi, ai motivi “nativi americani e geometrici” su muri e pavimenti, nonché al rapporto tra modernità consumistica “in serie” e antiche rappresentazioni facenti parte del passato selvaggio dei luoghi, soprattutto boschivi. Il tutto fa perno su numerosi simbolismi: il nano e il gigante che appaiono in sogno, le geometrie quasi rituali e massoniche, i riferimenti a una loggia bianca e a una loggia nera, nonché al gioco degli scacchi (il dualismo tipico del dettato esoterico della stessa Libera Muratoria), e via discorrendo…

Siamo dunque di fronte a un prodotto volutamente meticcio, che unisce avanguardia e cultura pop, bellezza e kitsch, alto e basso. Da notare che alcuni personaggi della serie rappresentano un dualismo a volte lacerante, che dal cinismo del crimine passa alla nobiltà d’animo senza alcuna gradazione intermedia. (A tale proposito, si veda la misteriosa tessera di domino — guarda caso, bianca e nera — misteriosamente assaporata da questo personaggio, che nella storia è proprio un ex carcerato che torna a Twin Peaks per ricostruire la sua storia d’amore.)

Il grottesco

Da questo punto di vista non c’è alcun dubbio: pur non giungendo agli estremi tipici del primissimo Lynch sperimentale, questa produzione rimane a tutt’oggi l’esempio più compiuto e forse unico dell’incursione del grottesco nella narrazione televisiva a puntate.

Il grottesco in questione non è quello, comunque presente, che affiora dalla scelta di attori ora effettivamente affetti da nanismo o gigantismo, ora fisicamente mutilati. La cifra assolutamente grottesca riguarda la sorpresa, l’allusione sessuale, l’improvviso arrivo di un agente dell’FBI che si rivela un travestito, oppure inspiegabili adorazioni del cibo, un villain che di punto in bianco costruisce un plastico e inizia a giocare alla guerra civile americana, uno psichiatra devoto alla cultura hawaiana con un paio d’occhiali con lenti di diverso colore, una moglie completamente pazza con una benda sull’occhio e la convinzione di essere una studentessa di college, oppure l’improbabile travestimento che trasforma una capitana d’industria di mezza età in un grasso uomo d’affari asiatico, e l’elenco potrebbe andare avanti…

Il grottesco di questa serie agisce su due fronti: dal di fuori, come “pennellata di assurdo” che si posa come vernice glitter sui personaggi, e dal di dentro, attraverso iterazioni narrative e personaggi di per sé difettosi, con elementi che non tornano, mutano, si invertono lungo la scia di possessioni curiose e “catarsi” indecifrabili.

Il grottesco si manifesta attraverso dinamiche curiose: una donna misteriosamente assorbita da un comodino (parodia della celebre sequenza finale del già citato Shining?), uno spietato uomo d’affari improvvisamente convertito all’ecologismo e alla protezione di un tipico furetto della zona rurale, un personaggio che ingaggia una partita a scacchi a distanza e compare in rocamboleschi travestimenti ai membri della comunità, un’improbabile sfilata di moda a base di abiti di lana cotta, e via discorrendo. Lo scenario assume la forma di un gigantesco campionario della stranezza, che tuttavia viene snocciolato lungo una sintassi registica assolutamente piana, equilibrata, quasi didascalica, anche se mai banale.

Conclusione

La serie “classica” di Twin Peaks è stata indubbiamente un evento cult nella storia della televisione popolare. I motivi sono indubbiamente molti, e non tutti legati all’oggettiva qualità dell’opera. C’è infatti da dire che gli errori, in questo prodotto, sono almeno tanti quanti i pregi indiscussi, e che una critica lucida deve certamente tenere conto di tutto. Di certo siamo al cospetto di un prodotto che ha fatto parlare di sé anche per la sua carica simbolica e occulta.

Presentazione Palm Beach Blog

Le mie questioni relative al vecchio blog in Vivaldi Community hanno caratterizzato una fattispecie decisionale già abbondantemente descritta. Ora è il momento di presentare il nuovissimo blog in quella stessa community che mi ha indotto a tante elucubrazioni burrascose (ma creative).

palmbeach.vivaldi.net

Mi piace immaginare questo blog come un luogo fortemente monoideista. Ossia, un luogo dove concentrare argomenti unicamente legati a pochissimi temi di base. In primis, tecnologia di comunicazione (cosa che si adatta molto bene a quella community) e scrittura “classica” riversata nel web.

Vorrei fosse un vero e proprio diario compilato nello stile di Cory Doctorow.

Ritorno a WordPress: le Motivazioni

Ho trasferito qui il mio (quasi) storico blog in WordPress. Ora sto provvedendo a trasferire i vecchi contenuti per rilanciare il tutto in una nuova, nuovissima forma.

Il perché di questa mia scelta è presto detto. Io uso tantissimo Vivaldi Browser, uno strumento per me assolutamente inarrivabile. Tuttavia, il team di sviluppo di tale pezzo di software nasce circa una decina scarsa di anni fa da un fork burrascoso relativo all’analogo progetto Opera, browser che molti di voi conosceranno come nativamente crypto friendly. Ora, io ritengo che un browser debba essere solo e unicamente un browser, e che la scelta di non occuparsi di cryptovalute “dento un browser” sia non solo pienamente legittima, ma addirittura opportuna (ecco perché io oggi uso Vivaldi, non Opera, e neppure Brave). In altri termini, che sia il mercato dei plugin, e non il codice nativo, a caratterizzare il web3 all’interno di un certo browser.

Il problema è che tutto il team Vivaldi, sulla scia di questa legittima scelta tecnica ha innescato una vera e propria crociata globale contro le crypto in quanto tali (per ragioni logicamente molto deboli), obbligando tutti i partecipanti alla sua community (che annovera anche un’istanza Mastodon) di non parlarne mai.

Un atteggiamento, questo, a mio avviso del tutto sbagliato, che evidentemente mi avrebbe portato a ridimensionare il mio rapporto con questo gruppo di programmatori, indipendentemente dalla pregevolezza — che continuo a difendere — del loro prodotto.

A dirla tutta, il comportamento delle alte sfere di Vivaldi si è dimostrato in materia piuttosto discutibile e schizofrenico, soprattutto in relazione a un fatto che ebbi modo di portare alla luce qualche tempo fa. Un certo promotore del browser, infatti, fu nel marzo 2023 molto candidamente presentato al vasto pubblico (con post immediatamente cambiato a causa appunto del mio disappunto espresso frontalmente al frontman vivaldiano Jon S. von Tetzchner) come attivista impegnato nella diffusione della privacy coin zCash, cryptomoneta ben nota nel settore. Ebbene, la mia protesta piuttosto accesa ebbe come risultato la rimozione dalla maglietta (della versione grafica) del sopraccitato promotore del simbolo di zCash, che fu sostituito — piuttosto goffamente — prima da un cerchio giallo vuoto, e poi da una “V” che stava per Vivaldi.

Su Twitter mi capitò, come vedete, di fare un po’ di casino in materia, e ci fu uno scambio di battute piuttosto accese in un forum.

Insomma, ci ho pensato a lungo, e a lungo non ho preso particolari provvedimenti. Il mio “vecchio Navigazioni Annotate” era appunto ospitato dalla community di blogger di Vivaldi, che si estendeva, come detto, in una succursale su Mastodon. Ogni volta che volevo liberamente dire qualcosa dovevo pensare quindi ad autocensurare tutta la parte direttamente legata alla rivoluzione blockchain, e a selezionare ciò che potevo dire, destinando ad altre piattaforme il resto. Insomma, un lavoraccio fastidioso, no? Ecco perché ho deciso di spostarmi.

Ho ancora un blog in Vivaldi, ma sotto diversa identità. Sto studiando creativamente il modo di utilizzarlo, e credo di essere giunto a una conclusione: se vuoi che mi nasconda, allora utilizzerò questa tua risorsa sotto pseudonimo, e con intenti molto vicini all’hacking cyberpunk. Ossi, se pensi che le crypto siano un gioco sporco, allora eviterò di parlare di crypto, e farò quello che tu mi permetti di fare trasformandolo in un gioco ancora più sporco.

Detto questo, buona lettura.