Ho coniato una nuova sigla, NOLONGFORM, per caratterizzare la mia “idea manifesto” per il mio, chiamiamolo, blogging style. Si potrebbe anche optare per una versione ulteriormente abbreviata in NOLOFO, che già mi piace ancora di più.
Sto scrivendo questa cosa con un mio vecchissimo laptop targato Compaq, ormai ridotto a una sorta di reperto cyberpunk. A parte l’architettura a 32 bit, ormai in totale disuso, lo strumento è letteralmente un rattoppo: batteria inesistente, funzionamento in presa diretta con caricatore rigorosamente non originale, adesivi ovunque, tastiera unta e bisunta (ma ancora fantasticamente comoda), nonché hard disk disintegrato (che non so come faccia a funzionare, peraltro piuttosto bene) e ventola sempre in tiro.
Però continua a piacermi. Si tratta di uno di quei computer che nostalgicamente mima la velocità di un tempo, non supportata da chissà che prerogative hardware. Il sistema operativo è un’antica versione di Ubuntu MATE, ovviamente priva di qualsiasi supporto.
La letteratura, letteralmente, o letterariamente, mi ossessiona ponendomi delle domande specifiche, che suonano circa così:
Come può la letteratura veicolare un messaggio utile nella realtà, pur creando un mondo totalmente svincolato da qualsiasi ragionevolezza reale? (Non parlo, attenzione, di mondo “fantastici” o “fantascientifici” che possano essere “plausibili” sulla base di un sistema di regole assolutamente codificate, ma di vere e proprie assurdità che però, attraverso la mediazione, come dire, “poetica”, della letteratura, diventano magicamente ascoltabili e visualizzabili come reali o realistici.)
Come può la letteratura veicolare un messaggio utile nella realtà, parlando letterariamente di cose assolutamente reali o realistiche?
Come possono i protagonisti delle innumerevoli serie dedicate a (quelli che io chiamo) vampiri metropolitani in salsa di psicodramma famigliare vivere alla grande senza muovere neppure un dito, anche solo per far finta di lavorare?
Perché i fantasmi letterari sono assoggettati alla forza gravitazionale? Ha senso? Non dovrebbero invece potersi muovere attraversando la materia anche verticalmente oltre che orizzontalmente?
Corollario: Ma poi perché i fantasmi sono raffigurati con un corpo? Ha senso un corpo nella non corporeità?
Stamane ho annotato, prima sinteticamente, poi diffusamente, il fatto di essermi iscritto al Movimento Cinque Stelle. Le ragioni sono essenzialmente quelle che ho descritto, quindi non voglio perdere e far perdere tempo scrivendone di ulteriori. Ma in un blog, si sa, bisognerebbe scrivere tutto.
Ciò che volevo dare pubblicamente è una sorta di spiegazione complessiva, avente a che fare con la politica in generale.
Io da tempo non mi interesso di politica, ovvero mi interesso come banale cittadino, e non più come attivista in questo o quel partito. Ho riflettuto però più attentamente su questa mia posizione operativa, e a un certo punto mi sono detto che no, non è opportuno che uno come me resti completamente al di fuori della politica. Un minimo di interessamento, appunto operativo, deve rimanere, visto che, comunque, la politica resta in fondo un settore come tanti altri, da trattare senza esclusività di sorta, ma comunque da trattare.
Troppo facile, poi, lamentarsi dei nostri politici. Un apporto deve essere dato, non per essere sterilmente contro tutto e tutti, ma per proporre qualcosa di nuovo, con forze complessivamente coerenti con tale proposta.
Da parecchio utilizzo metodi mediati dalla risorsa creativa della flash card, unità di informazione e consapevolezza da applicare, esattamente come una carta divinatoria, a qualsiasi questione.
Sto usando questo metodo soprattutto per trovare nuove idee da applicare al mio uso quotidiano del Web, nell’ottica di razionalizzarlo secondo un proficuo principio di suddivisione dei mie siti.
Il Re di Coppe mi comunica oggi la necessità di essere saggio e soprattutto gentile.
Nel mio caso, la parola “gentilezza” è associata al Web2, e (il volo sembra pindarico, ma nel mio caso non lo è) alla scrittrice e poetessa Natalie Goldberg. Una delle citazioni contenute nel suo “storico” Scrivere Zen (1986) è infatti proprio questa: quando scrivi, sii gentile.
Di solito non sono una persona pubblicamente avvezza all’essere troppo gentile, ma la gentilezza la apprezzo come ottimo strumento di consapevolezza.
La creatività fa sempre molta rima coi mazzi di carte, precostituiti o autocostruiti.
Il mio rapporto con la “TV on demand” (Netflix, Prime Video, ma anche la meno conosciuta Pluto TV) nasce, peraltro abbastanza recentemente, attorno al 2018, solo per una ragione che si chiama Stranger Things.
Da tempo sentivo parlare di questa serie, che veramente in tanti — tra cui il mio amico regista Massimo Volta — mi descrivevano come autentico capolavoro, tanto che a un certo punto non ho dovuto accertarmene direttamente. E ho fatto bene.
Devo dire che le aspettative, a dire il vero molto alte, sono state soddisfatte: l’ho trovata a dir poco meravigliosa, lontana anni luce dalle tante e troppe cose banali che da tempo ero abituato a vedere, in quanto mi ricordava in modo assolutamente fedele, per non dire commovente, le atmosfere cinematografiche della mia infanzia e prima adolescenza.
Non starò qui a elencare gli ingredienti di questa produzione. Sono troppi, e credo che solo quelli della mia generazione possano apprezzarli tutti, dal più palese al più sottile.
Delle quattro stagioni fino ad oggi prodotte, quelle che mi sono piaciute di più sono, a parte ovviamente la prima, la seconda e la quarta. Ho trovato la terza leggermente autoreferenziale, ma questo non inficia la qualità generale dell’opera, che resta elevata.
Lo scopo di questo articolo, però, non è tanto parlare di questa serie, quanto rispondere a una domanda che da un po’ è diventata un mio tormentone. Quando è nata la volontà di ripercorrere le atmosfere degli anni Ottanta?
Facciamo due conti…
La prima stagione di Stranger Things è datata 2016. Subito dopo, altri film hanno in qualche modo riprodotto questa volontà di indagare certo cinema di genere degli Eighties, basti pensare al primo capitolo di IT, del 2017, che volutamente (e molto efficacemente) trasporta proprio in questo decennio la prima parte della nota narrazione romanzesca di Stephen King, originariamente ambientata negli anni Cinquanta.
Ma a ben vedere questo revival ha origini spostate più indietro nel tempo.
Forse pochi di voi conoscono un film del 2011, dal titolo Super 8, che vede peraltro l’eloquente presenza di Steven Spielberg alla produzione. Per quanto non sussista ovviamente alcun rapporto di tale storia con quelle citate, ci troviamo di fronte ai medesimi meccanismi e personaggi: una ciurma di ragazzini, tante biciclette, un mistero da risolvere avente a che fare con elementi fantascientifici e complotti governativi, e via discorrendo, lungo un’iconografia che ormai credo sia riconoscibile anche da chi non appartiene alla mia generazione.
Ho citato questa pellicola (peraltro veramente molto bella) per affermare un fatto piuttosto oggettivo, secondo me degno di nota:
Ormai da già una dozzina d’anni è attivo un filone cinematografico, quindi, si suppone, un relativo pubblico, che intensamente ricorda (e mi permetto di aggiungere rimpiange) il “sapore” delle storie che venivano narrate negli anni Ottanta.
Questa considerazione in fondo abbastanza banale suscita in me una serie di ulteriori interrogativi, tra cui uno, ovvero molti in uno. In tutti questi anni, ossia dalla fine dei citati 80s al primo decennio dei Duemila, noi nati circa nella metà dei 70s cosa abbiamo fatto? Come mai la nostra voce si è in qualche misura persa lungo un periodo intermedio di vent’anni?Perché non ci siamo fatti sentire, nel frattempo?Come abbiamo fatto a permettere le cose che sono accadute, e che hanno deteriorato l’Italia, l’Europa e il pianeta?
Se potete capirmi, non so quale sia ovviamente la vostra sensazione, ma la mia è molto chiara: mi sembra di essermi svegliato solo ora.
Ok, sto forse esagerando. Ma una punta di verità c’è anche nei miei interrogativi più (genericamente) “politici”, visto che chiunque appartenga alla mia generazione può vedere molto bene la differenza tra quegli anni e i nostri (e l’adolescenza non c’entra proprio nulla).
Se trent’anni dopo la loro sostanziale conclusione gli anni Ottanta sono tornati a far parlare di sé, lungo un filone che ha già superato esso stesso il decennio, non c’è da fare una profonda riflessione sui prodotti narrativi del nostro presente, magari anche mettendoli in seria discussione?