Attorno a Stranger Things e Affini

Il mio rapporto con la “TV on demand” (Netflix, Prime Video, ma anche la meno conosciuta Pluto TV) nasce, peraltro abbastanza recentemente, attorno al 2018, solo per una ragione che si chiama Stranger Things.

Da tempo sentivo parlare di questa serie, che veramente in tanti — tra cui il mio amico regista Massimo Volta — mi descrivevano come autentico capolavoro, tanto che a un certo punto non ho dovuto accertarmene direttamente. E ho fatto bene.

Devo dire che le aspettative, a dire il vero molto alte, sono state soddisfatte: l’ho trovata a dir poco meravigliosa, lontana anni luce dalle tante e troppe cose banali che da tempo ero abituato a vedere, in quanto mi ricordava in modo assolutamente fedele, per non dire commovente, le atmosfere cinematografiche della mia infanzia e prima adolescenza.

Non starò qui a elencare gli ingredienti di questa produzione. Sono troppi, e credo che solo quelli della mia generazione possano apprezzarli tutti, dal più palese al più sottile.

Delle quattro stagioni fino ad oggi prodotte, quelle che mi sono piaciute di più sono, a parte ovviamente la prima, la seconda e la quarta. Ho trovato la terza leggermente autoreferenziale, ma questo non inficia la qualità generale dell’opera, che resta elevata.

Lo scopo di questo articolo, però, non è tanto parlare di questa serie, quanto rispondere a una domanda che da un po’ è diventata un mio tormentone. Quando è nata la volontà di ripercorrere le atmosfere degli anni Ottanta?

Facciamo due conti…

La prima stagione di Stranger Things è datata 2016. Subito dopo, altri film hanno in qualche modo riprodotto questa volontà di indagare certo cinema di genere degli Eighties, basti pensare al primo capitolo di IT, del 2017, che volutamente (e molto efficacemente) trasporta proprio in questo decennio la prima parte della nota narrazione romanzesca di Stephen King, originariamente ambientata negli anni Cinquanta.

Ma a ben vedere questo revival ha origini spostate più indietro nel tempo.

Forse pochi di voi conoscono un film del 2011, dal titolo Super 8, che vede peraltro l’eloquente presenza di Steven Spielberg alla produzione. Per quanto non sussista ovviamente alcun rapporto di tale storia con quelle citate, ci troviamo di fronte ai medesimi meccanismi e personaggi: una ciurma di ragazzini, tante biciclette, un mistero da risolvere avente a che fare con elementi fantascientifici e complotti governativi, e via discorrendo, lungo un’iconografia che ormai credo sia riconoscibile anche da chi non appartiene alla mia generazione.

Ho citato questa pellicola (peraltro veramente molto bella) per affermare un fatto piuttosto oggettivo, secondo me degno di nota:

Ormai da già una dozzina d’anni è attivo un filone cinematografico, quindi, si suppone, un relativo pubblico, che intensamente ricorda (e mi permetto di aggiungere rimpiange) il “sapore” delle storie che venivano narrate negli anni Ottanta.

Questa considerazione in fondo abbastanza banale suscita in me una serie di ulteriori interrogativi, tra cui uno, ovvero molti in uno. In tutti questi anni, ossia dalla fine dei citati 80s al primo decennio dei Duemila, noi nati circa nella metà dei 70s cosa abbiamo fatto? Come mai la nostra voce si è in qualche misura persa lungo un periodo intermedio di vent’anni? Perché non ci siamo fatti sentire, nel frattempo? Come abbiamo fatto a permettere le cose che sono accadute, e che hanno deteriorato l’Italia, l’Europa e il pianeta?

Se potete capirmi, non so quale sia ovviamente la vostra sensazione, ma la mia è molto chiara: mi sembra di essermi svegliato solo ora.

Ok, sto forse esagerando. Ma una punta di verità c’è anche nei miei interrogativi più (genericamente) “politici”, visto che chiunque appartenga alla mia generazione può vedere molto bene la differenza tra quegli anni e i nostri (e l’adolescenza non c’entra proprio nulla).

Se trent’anni dopo la loro sostanziale conclusione gli anni Ottanta sono tornati a far parlare di sé, lungo un filone che ha già superato esso stesso il decennio, non c’è da fare una profonda riflessione sui prodotti narrativi del nostro presente, magari anche mettendoli in seria discussione?

Io credo di sì, ma lascio a voi la risposta.

Dreamy Stationery

Stamattina ho acquistato queste flash card di Amazon Basics. I vantaggi di Prime vanno sfruttati, no? Mi servono per annotare citazioni (e autocitazioni) nello stile di Austin Kleon.

Penso di dover incentivare la scrittura compulsiva, una cosa (un atteggiamento, direi) che un tempo potevo permettermi, e che ora può solo svolgersi nei ritagli. Credo che un grosso business sarebbe quello di vendere tempo di qualità a chi ne fa richiesta. Tempo, silenzio, ambiente, atmosfera…

Stanotte ho sognato un’espressione che sintetizza svariati “ambienti” (or settings, if you want) che caratterizzano spesso gli stessi miei sogni. L’espressione è: la Padova arcaica. Ora, non so se si tratti di Padova, ma spesso e volentieri io sogno degli ambienti che affondano la loro essenza in ciò che ho visto da bambino. Scorci, anfratti, giardini interni di palazzi, chiostri, vedute aeree nello stile dei vecchi documentari del servizio pubblico radiotelevisivo (lo chiamo così per distinguerlo dallo schifo attuale), e via discorrendo…

Riprendo a Scrivere

Ho ripreso a scrivere, cercando di ricordare operativamente i consigli di Natalie Goldberg che mi hanno sempre ispirato, ma che appunto per un bel po’ avevo abbandonato.

Non ho molto tempo per la scrittura, purtroppo. Vorrei averne di più, ma cerco di farmelo bastare. Utilizzo un metodo molto schematico: singoli quaderni Rhodia o Clairfontaine (i migliori, straordinariamente economici nonostante l’eccelsa qualità), numerati cronologicamente tramite data di apertura e chiusura, e una penna stilografica Lamy Safari a punta fine (anche se posso tranquillamente usare una banale penna a sfera, o un pennarello, a seconda della comodità del momento).

La sequenza di quaderni numerati restituisce l’idea di un diario unico, impilabile come raccolta lineare di singoli componenti comodi da portare con sé anche in viaggio. Nel diario non inserisco solo la pura scrittura, ma anche informazioni laterali che intendo ricordare: nomi, indirizzi web, ma anche cose da fare, idee forti, e via discorrendo. In questo modo ho tutto sotto mano, sempre.

Al Lavoro su Blockchain Domain

Stamattina ho iniziato, direi finalmente, ad annotare in una modalità rigorosamente cartacea e, come dire, da studente coreano o affine, le mie monografie d’uso del Web2 e del Web3. In questo caso ho visto bene di definire il mio account “blockchain” in Unstoppable Domains.

ud.me/filippoalbertin.blockchain

Se volete contattarmi utilizzando questa tecnologia e questo specifico mio dominio, è molto semplice. Scrivetemi una mail al mio nuovo indirizzo UD-based.

[email protected]