Una è Selene. L’altro è Merlino. Capite credo al volo chi è il maschio e chi la femmina. Sono i nostri bellissimi gatti. Li conoscete già. Ho riunito questi due scatti perché mi sembrano molto rappresentativi del loro carattere.
Questo pomeriggio mi dedico alla cucina per altrui bocche. Nel segno dell’arancione e delle carote stufate.
Queste le devo controllare, altrimenti si attaccano…
Colazione con latte d’avena, quattro barrette d’avena e cioccolato fondente, caffè. Trascrivo fedelmente alcune considerazioni legate a un sogno. Ho pensato a questo: le cose affiorano quando escludiamo la distrazione dovuta ad atteggiamenti eccessivamente additivi a livello di contenuti, esperienze e contatti. Il “poco” è sempre un ottimo maestro.
Pranzo con risotto di spinaci e una piadina (handmade) con farina di grano saraceno, pomodorini, olio EVO e una quantità industriale di prezzemolo surgelato, che ho dovuto finire in quanto ho dovuto sbrinare il frigorifero.
Merlino fa la guardia ai documenti in modo egregio. Ho passato la mattina ad annotare considerazioni politiche in un soft-notebook della Leuchtturm 1917, che ho ripreso in mano da poco. A latere, mi piace usare la tavola iniziale dei contenuti: una caratteristica tipica di questi quaderni tedeschi, che ho intenzione di utilizzare con più attenzione.
Merlino PGP e il folder rigorosamente top secret.
Oggi ho inviato il link del Post-Cypher Manifesto a un po’ di gente che lo aveva espressamente richiesto. Roma ne fu pas faite toute en un jour… Probabilmente devo incentivare questa componente: l’invio diretto, on demand.
Alcune considerazioni illeggibili su politica, astensionismo e relative interpretazioni.
La scketchnote di oggi somiglia molto a una partitura di Bussotti. In ogni caso, eccola: vede la convergenza (piuttosto assurda) tra alcune annotazioni di privacy online e un’idea vagamente applicabile al teatro musicale.
Il mio tema per Vivaldi Browser denominato Volcano Iceland è stato approvato dalla community. Scaricatelo e usatelo. Io come ovvio lo trovo sublime.
(Non scrivo molto di politica, ma se ne scrivo, ne scrivo su Listed. In ogni caso, questo che stai leggendo è un post che parla di politica.)
In materia politica, ovvero nel descrivere le dinamiche in corso in questa nostra Italia, possiamo analizzare giorno dopo giorno tutto quello che accade: dichiarazioni, posizioni, siparietti, inchieste, e chi più ne ha più ne metta. Tuttavia la lettura oggettiva — e soprattutto sensata in termini di effettiva utilità — di quanto accade non può prescindere da una radicale sintesi, ovvero la capacità di vedere non già l’inutile dettaglio, ma lo scenario globale che si è venuto a determinare.
L’orizzonte temporale è a mio avviso molto preciso, e fa chiaro riferimento a quanto accaduto dalla pandemia in poi.
L’apice del “voto populista” si registra alle elezioni del 2018, dove i partiti che affiorano prepotentemente sono la Lega di Salvini e il Movimento 5 Stelle, all’epoca ancora rappresentato da “nomenclature sotto l’egida del grillismo”.
Subito dopo parte l’era dei mandati di Giuseppe Conte, che nella sua prima parte non registra sostanzialmente alcun cambiamento in termini di successo. La stessa Lega salviniana, alle europee di un anno dopo rispetto all’insediamento, arriva a prendere addirittura il 36% dei consensi, di fatto attestandosi come primo partito populista in Italia.
Cosa accade dopo? Semplice: accade la pandemia, che di fatto ribalta completamente il quadro del voto. La Lega perde improvvisamente — lo si vedrà in modo chiaro alle nazionali di fine 2022 — oltre il 70% del suo consenso, e il Movimento 5 Stelle passa complessivamente dal 30% delle nazionali del 2018 a un 15% circa.
Ad avvantaggiarsi di tale dinamica è ovviamente, e in modo puramente congiunturale, l’unico partito populista che ancora non aveva avallato le (a mio avviso) giustissime, ma oggettivamente scomode politiche di contenimento pandemico: parliamo di Giorgia Meloni e del suo Fratelli d’Italia, che di fatto assorbe quasi tutto il voto che fu della Lega.
Dal mio punto di vista, l’analisi potrebbe tranquillamente fermarsi qui, visto che ad oggi non è intervenuta alcuna fattispecie confrontabile alla pandemia che possa dirsi tale da indebolire il consendo di FdI. Certo, ci sono decine e decine di incoerenze, promesse gettate alle ortiche, voltafaccia in sede europea, e via discorrendo. Ma si tratta di noccioline, diciamocelo chiaramente, rispetto a quelle che oggettivamente sono state le conseguenze (ribadisco, a mio avviso necessarie) della pandemia e delle contromisure ad essa relative in materia di economia diffusa.
La mia personale opinione è che questo governo non arriverà a fine mandato, ma tale probabile interruzione non sarà certo dovuta a dinamiche messe in atto dall’opposizione parlamentare. La crisi politica — qualora tale da tradursi in crisi di governo, cosa comunque, lo premetto, tutta da dimostrare — può evidenziarsi solo all’interno di un centrodestra oggi chiaramente dissestato e a conduzione unica.
Se è vero infatti che il potere può essere un ottimo collante per saldare amicizie non proprio schiette, è anche vero che lo stesso potere può essere motore di invidie interne che, opportunamente sollecitate, possono sfociare in congiure del tutto inedite.
Tempo fa, proprio a Vicenza, dove oggi abito ma all’epoca non abitavo, ho conosciuto una certa ragazza che si faceva chiamare Reginazabo, e che all’epoca gestiva un B&B a tema steampunk (tale Ada Lab, in onore alla prima donna informatica della storia, tale Ada Lovelace), dove animava — anche in collaborazione con altri progetti ora limitrofi, ora nazionali — numerosi eventi di stampo alternativo e underground: proiezioni cinematografiche, laboratori di autoproduzione (fanzine, arte, serigrafia, modellazione e stampa tridimensionale), incontri con consumazione di cibo vegano, conferenze e altre cose — mi si perdoni il termine certamente troppo riassuntivo — abbondantemente fricchettone.
Di Reginazabo, il cui nome reale mi è stato sempre sconosciuto, e di tutti i suoi progetti, non rimane praticamente alcuna traccia nel web, se non alcuni riferimenti puramente nominali in link che conducono a domini in vendita e pagine vuote. Ma Reginazabo compare ufficialmente come traduttrice di un libro che a suo tempo ha goduto di una certa circolazione e relativo interesse. Parlo di Guida Steampunk per l’Apocalisse (2008), di tale Margaret Killjoy, attivista statunitense che nonostante il nome femminile è (anche se non a tutti gli effetti, vista la collocazione in un campo sessuale oggettivamente fluido) un autore maschile, pure lui abbastanza chiaramente (o almeno molto probabilmente) celato dietro quello che potremmo definire un suggestivo nickname.
La casa (cabinet) autocostruita da Margaret Killjoy nei boschi degli Appalachi.
Ebbene, perché mi è venuta in mente questa mia frequentazione di almeno una buona dozzina d’anni fa? La ragione è semplice: il ritorno di una certa cultura apocalittica, connessa all’idea di un tracollo totale del sistema finanziario, economico, sociale, ecologico e antropico su scala più o meno planetaria.
Intendiamoci. Gli statunitensi nutrono da decenni queste velleità da catastrofe imminente che li costringa a sopravvivere in remote regioni del deserto, o dell’Alaska, armati solo di tende, picozze e gadget tipici del DIY (Do It Yourself) di carattere estremo. Ma nel caso del testo di Margaret Killjoy, che potete peraltro (ormai) scaricare gratuitamente dal sito del progetto editoriale che all’epoca lo stampò, il tono generale si allontana notevolmente dalla retorica del comune neo-yankee di New York o Los Angeles. Siamo al cospetto di una vera e propria opera narrativa sotto forma di creative nonfiction. Una modalità che, ripeto, a distanza di svariati anni, oggi mi connette ad altre idee e altri personaggi, molto meno radicali di Killjoy, ma non meno inquietanti (anche se sapienti, simpatici, e pure amici).
Per esempio, in questo video ascolto il “priore” Giacomo Zucco, simpaticamente intervistato da Marco Costanza, mentre si lascia scappare l’esistenza di una sua riserva aurea fisica alternativa a quello che abbiamo imparato ormai tutti a riconoscere come oro digitale, materia che — dico io — dovrebbe essere a dir poco una sua personale religione, nonché l’asset su tutti preferibile per investire nel lungo termine.
Ebbene, da dove deriva questo orientamento alla fisicità del mezzo che dovrà salvarti? Sulla base di quale costrutto mentale qualcuno immagina un mondo senza elettricità e connessione web? Ma soprattutto, sulla base di quale perversione mentale qualcuno può anche solo ipotizzare che l’assenza di questi meccanismi di base possano essere anche solo lontanamente compatibili con una qualsiasi idea di sopravvivenza del genere umano?
Io ho una risposta, e la risposta è subdola e psicologica. Ha a che fare con l’individualismo, ossia l’edonistica immaginazione di un assetto globale che ti possa far vivere da ricco sfondato, in una villa immersa nel verdeggiante panorama di un’isola (magari paradiso fiscale), senza bisogno di società, politica, media, e via discorrendo, o con l’idea che queste cose possano comunque esistere anche senza gente che ci lavora.
Ovviamente siamo al cospetto di un’utopia. Ma tale utopia è talmente suffragata da iconografie diffuse, modelli e illustrazioni da stereotipo AI-based che a un certo punto la parte cosciente inizia a crederci, ad allestire sistemi, impalcature, to do list, atte a costruire il mondo che vorremmo. Con un problema che però si pone, che è quello della parte subcosciente e subliminale, che si ribella, che si tormenta, e alla fine ti viene a dire che no, devi per forza avere un piano alternativo, e questo piano, ancora più folle dell’utopia che l’ha suscitato, dovrà essere a base di cose materiali, che si toccano e che possano funzionare anche senza pagare la bolletta.
Ebbene, io vi dico che questa cosa è impensabile. L’apocalisse a cui pensa Margaret Killjoy non arriverà mai, e non arriverà mai neppure il paradiso di Satoshi Nakamoto, e nemmeno la catastrofe che Zucco vorrebbe arginare a colpi di lingotti d’oro. Primo, perché non ci sarà alcun motivo di aggrapparsi all’oro fisico. Secondo, perché l’oro fisico non avrebbe alcuna possibilità di arginare lo scenario immaginato come sfondo della sua azione di salvagente.
Perché noi siamo già dentro l’apocalisse, e gli zombie sono qui, tra noi, attivi come non mai, agenti in qualità di catatonico oceano ingaggiato per eleggere Tizio e Sempronio alle urne. Oppure ragazzine impegnate in improbabili reel TikTok e Instagram per generare traffico fingendosi animatrici sessuali nomadi, o fuffaguru in grado di farti diventare milionario in pochi secondi, o supporter del governo pagati un tanto a twit, il tutto immerso nel magma rovente delle telefonate indesiderate, degli scammer nigeriani, dei principi Faza3 from Dubai che ti concedono il loro amore per un obolo in satoshi.
Non serve aspettare: l’apocalisse ha il volto sorridente di una startup finanziata per non ottenere dopo due anni neppure un euro di fatturato, avendone spesi 100K, ovvero di uno studente che non può permettersi l’affitto per studiare a Milano, ma sfoggia l’ultimo modello di iPhone.
Il mio vecchio blog su LiveJournal, di cui ho parlato qualche post fa, è stato censurato e chiuso. Le motivazioni, in questo caso, sono praticamente impossibili da ottenere, e non mi ci metto neppure. Sta di fatto che queste cose, per quanto legate magari a questioni banalissime, ci devono fare comunque riflettere sulla natura centralizzata, ergo potenzialmente dispotica, del web in quanto tale.
Tuttavia ho aperto (ed espressamente inaugurato) un nuovo blog, sempre su LiveJournal, per testare in modo più consapevole e attento la cosa. Buona lettura.