Salmone Bulloni e Soda Caustica: ovvero il Caso “Creators – the Past” e cosa può insegnarci

Di solito preferisco parlare di ciò che mi piace, e molto difficilmente di ciò che non mi piace. A meno che non si tratti di un articolo che decido di scrivere funzionalmente contro qualcosa, per ragioni che ritengo evidentemente sostenibili e opportune, mi sembra infatti piuttosto inutile dedicare parole a ciò che non merita attenzione, sottraendole indirettamente a quello che invece vale la spesa del mio tempo.

In questo caso, però, farò una doverosa eccezione.

Non amo gli eccessivi preamboli, ma qui sono necessari. Strettamente necessari.

Per quel che mi riguarda, il cinema nella sua più ampia accezione si divide in due grandi categorie: (1) grandi classici e (2) film recenti (che magari, chissà, un domani potranno rientrare a vario titolo nei grandi classici, ma ora come ora sono semplicemente quello che passa il convento). Spiegherò di seguito cosa intendo.

Grandi classici

Quelli che chiamo “grandi classici” sono i film della memoria personale e collettiva, che io non limito solo ai capolavori di Alfred Hitchcock, Stanley Kubrick, Steven Spielberg e chi per loro, visto che la lista sarebbe comunque lunga, ma anche a tante, tantissime altre produzioni che bene o male sono entrate nel nostro, o almeno nel mio immaginario estetico di riferimento.

Parlo dei dei mystery anni Trenta, dei muti di Buster Keaton e dei loro immediati successori “sonori” con Stanlio e Ollio, ma anche dei film con Bud Spencer e Terence Hill, così come dei thriller dal sapore argentiano, dei so bad is so good dell’exploitation Sexties e Seventies, aggiungendo anche i kolossal “peplum”, le commedie con Banfi e Vitali, Celentano, Pozzetto, Villaggio, tornando poi indietro al grande cinema italiano interpretato da mostri sacri come Manfredi e Gassman, passando per una gamma infinita di gradazioni dai fumettoni di Fellini a Blade Runner, da Tim Burton a John Carpenter, e così via, in una lista ancora più lunga e soprattutto eterogenea.

Questi numerosissimi film, attenzione, non sono assolutamente tutti belli.

Ci possono essere film bellissimi che ti intrattengono con una storia intrigante e film brutti che ti fanno riflettere, film trash che ti strappano una risata o porgono una qualche logica anche fascinosa (voluta o non voluta, basti pensare a case di produzione come la cara vecchia Troma o la più attuale Asylum), film sciocchi e infantili che però riescono a restituirti un sapore d’altri tempi e una relativa nostalgia; oppure film cult, film che hanno segnato un’epoca, film che testimoniano ambienti e stili, profumi e atteggiamenti, culture, idee. Insomma, c’è di tutto, e deve esserci di tutto. Potremmo dire, in sintesi: capolavori euclidei e non euclidei.

Film recenti

Dall’altro lato, ovviamente a meno di ripescaggi singolari nel novero di cui sopra, che a volte ti capita di incrociare senza particolari ricerche deliberate anche nel cosiddetto mainstream, ci sono invece i film più vicini a noi, ossia quelli che ormai comunemente vengono proposti al pubblico attraverso celebri piattaforme streaming come Netflix e Amazon Prime.

Che si tratti di un prodotto appena uscito o di dieci anni fa, poco importa. Si parla in questo caso di tipologie di film (o di serie televisive) che vediamo ormai praticamente ogni giorno, e che a livello di gradimento posso per quel che mi riguarda ormai inserire in una casistica percentuale definita, che a spanne suona così:

  • 10% – assoluti capolavori, o comunque film che mi sono piaciuti parecchio;
  • 40% – film divertenti, ben fatti, con buone idee estetiche e una realizzazione tale da far passare allo spettatore un’ora e mezza di ottimo intrattenimento;
  • 30% – film girati in modo decente, che si lasciano guardare però in modo distratto, avendo dei difetti che non permettono loro di superare la soglia del puro riempitivo del tempo libero;
  • 20% – film oggettivamente brutti, girati male, con una brutta regia e in generale idee brutte o realizzate in modo inefficace.

Cos’è un film?

Ora, indipendentemente dall’insieme di riferimento, qualsiasi film può essere giudicato, più o meno oggettivamente o soggettivamente, nei modi più disparati. Ma resta un fatto: stiamo parlando sempre di film.

Per definire un film credo sia utile chiarire cosa non è un film.

Supponiamo di prendere un piatto da tavola. Supponiamo di metterci dentro salmone affumicato, crema pasticcera, bulloni, soda caustica, marmellata di fragole, detersivo da bucato, caponata pugliese, crema di cioccolata, cemento e silicone. Possiamo definire questo piatto una ricetta? Evidentemente no. Eppure sta in un piatto da portata, esattamente come le ricette degli chef stellati.

Abbiamo capito dunque che non tutto quello che metti in un piatto è una ricetta.

Faccio inoltre notare che nel mio esempio ho usato sia elementi che, se messi insieme, pur essendo commestibili restituiscono comunque chiaramente un connubio improponibile, che non può essere una ricetta degna di questo nome, sia oggetti e sostanze non commestibili, che a maggior ragione avvalorano quanto un’accozzaglia di cose prese a caso non possa dirsi ricetta culinaria solo perché sta in un piatto.

Questo banalissimo ragionamento, mutatis mutandis, ci fa capire una cosa: che un film, brutto o bello che sia, per definirsi “film” deve avere delle caratteristiche, esattamente come una ricetta, buona o cattiva che sia, per essere “ricetta” deve averne altre.

Il “caso” Creators – The Past

Recentemente, nel circuito Prime Video, ho avuto modo di visionare una produzione del 2019 intitolata Creators – The Past.

Ho cercato di guardarlo tutto, ma inizialmente non ci sono riuscito. Poi però, stordito dall’esperienza, ma deciso a continuarla fino in fondo, ho preso fiato e sono arrivato fino alla fine.

Non starò qui a elencare la sequenza di recensioni che ho trovato, banalmente, su YouTube, tutte sostanzialmente concordi nell’affermare quanto tale produzione sia con tutta probabilità una delle cose più orrende mai realizzate da mano umana.

Ma qui c’è un punto che ci tengo a precisare da subito, soprattutto alla luce della lunga e probabilmente noiosa premessa che sono stato costretto a farvi trangugiare prima di dare un giudizio.

Questo NON è un film. Punto, fine, stop.

Come detto, un film, qualsiasi film, può essere bello o brutto, fatto bene o fatto male, guardabile o inguardabile… Ma resta sempre un film. Nel caso di Creators – The Past siamo invece al cospetto di qualcosa che francamente non riesco a comprendere come possa essere anche solo annoverabile tra le fattispecie esistenti.

La “trama” (chiamiamola così) la trovate espressa ovunque, quindi non mi prendo la briga di spiegarvela, anche perché credo non possa neppure essere spiegata. Basti dire che si riduce a un delirio casuale, scritto coi piedi e per giunta pieno di buchi, glissati e aporie, avente a che fare con civiltà aliene, complotti, religioni, sorti della razza umana, cryptoarcheologia, senza capo né coda.

Ma il problema non è tanto la trama, chiaramente ricavata da una pappa informe di note teorie rese celebri dalla satira di Maurizio Crozza nel suo Kazzenger. Il problema non è il cameo di Mauro Biglino, nota figura facente parte del grande circo web dei seguaci delle teorie della genetica aliena, nella parte di sé stesso durante un TG. Il problema non è la triste volontà propagandistica del regista, un certo Zaia, la cui megalomania del tutto immotivata renderebbe desiderabile alla regia pure l’omonimo governatore del Veneto. Il problema non è un’attrice caucasica a nome Eleonora Fani (pure lei nota instagrammer o tiktoker a sfondo sciamanico-cabalistico-ufologico) truccata da donna, o dea, o marziana, inspiegabilmente di etnia africana.

Il problema vero è che questo “film che film non è” risulta essere, all’atto della mera fruizione, una sequenza caotica e urtante di audiovisivi montati senza alcun collegamento logico e stilistico, ovvero un montaggio di immagini colorate in movimento che non producono nulla a parte il puro e sterile fastidio.

Ecco dunque tornare la metafora della ricetta.

Questo, attenzione, non è un film d’avanguardia o di sperimentazione, come potrebbero essere le “tele cinematografiche” di artisti come Jeff Keen e simili. Non lo è perché dietro non esiste alcun genio, alcun autore, alcun pensiero. Niente di niente. Solo la volontà di spendere dei soldi per incollare parti che non stanno insieme.

Immaginate una sequenza tratta da Don Matteo. Unitela a un tutorial di qualche software di grafica computerizzata dedicata all’editing video, fatta male, ambientata in un mondo parallelo o in un pianeta sconosciuto. Collegatela a un servizio di Uno Mattina sul carnevale di Ivrea. Procedete con una sequenza di scene del tutto incomprensibili composte da oggetti in movimento, inquadrature inutili, e andate avanti così per tutta la durata della (chiamiamola) pellicola. Ecco, questo è Creators – The Past: un’operazione che a questo punto io spero sia stata dettata dalla volontà di riciclare del denaro sporco.

A questo punto mi chiedo tante cose. Chi ha potuto produrre questa roba? Chi ha potuto ingaggiare nomi come Depardieu e Shatner, infliggendo loro questo tiro mancino a danno della loro carriera? Come è possibile che vengano anche solo immaginati dei riconoscimenti (li ho letti su Wikipedia) a tale obbrobrio?

Sul serio. Al cospetto di questa roba la laurea albanese del Trota suona come un Nobel.

Ora, attorno a questa “cosa” (che appunto non chiamerei mai film) se ne stanno dicendo parecchie, specie ora che, dopo un lungo e a mio avviso meritatissimo oblio, è ricomparsa in un circuito come Amazon Prime, certamente per ricavarne qualcosa in termini di pure risate.

Tra le varie, gira la voce che la produzione sia costata dieci milioni di euro. Un’affermazione che però io ritengo totalmente artefatta, visto che nessun produttore al mondo consegnerebbe nelle mani di un perfetto sconosciuto come il tale Zaia di cui sopra una siffatta cifra per girare un film. Sta di fatto, che all’epoca della sua uscita è stato un flop totale (ma guarda un po’), ed è riuscito a incassare circa duecentimila euro (cifra che a mio avviso continua ad essere un furto).

Ebbene, che vi posso dire? Cosa possiamo imparare da questa vicenda?

Io posso dire solo questo. Il nostro presente non è semplicemente pieno di insidie e caos; esso stesso è il caos, e, come spesso mi capita di dire, la realtà ha superato abbondantemente la fantasia, visto che i veri “creatori” esistono, e sono ahimé tra noi.

Cosa creano? Perdonate la schiettezza, ma creano le “due palle così” che vi farete se avrete il coraggio di visionare questa robaccia dal primo all’ultimo secondo.

Questo blog si candida volontario per ricevere i vostri sfoghi.

Bullet Journaling Effettivo

Da tempo cercavo un sistema organizzativo che evitasse i device elettronici (che adoro, ma che a mio avviso non sono adatti alla scrittura organizzativa), ovvero che “nativamente” utilizzasse semplicemente carta e penna, come amo fare anche nel visual thinking.

Ho trovato questo sistema nel cosiddetto bullet journal. Ma attenzione: il sistema ricalcato tale e quale ed eseguito supinamente, è a mio avviso un tantino troppo rigido e per certi versi eccessivamente lungo da impostare. Pure un esperto in materia come Matt Ragland lo dice chiaro e tondo, anche se secondo me anche i suoi consigli possono essere ulteriormente semplificati, per una convergenza alla configurazione migliore.

Insomma, lungi dal volervi imporre un sistema, vi consiglio caldamente di seguire il mio setup, che spiegherò di seguito in modo molto circostanziato, e soprattutto motivato.

My BuJo Setup

Innanzitutto, cos’è un bullet journal?

Per quel che mi riguarda è un quaderno o taccuino che viene opportunamente impostato per essere un punto di riferimento organizzativo personale con riferimento annuale (in sostituzione di qualsiasi agenda).

Quale taccuino scegliere?

Ce ne sono molti, anche troppi. Personalmente non utilizzo né i tanto blasonati Moleskine (che a mio avviso, e secondo chiunque abbia un minimo di conoscenza della scrittura analogica e delle tipologie di carta sul mercato, sono di qualità pessima), né i certamente fantastici Leuchtturm 1917. Preferisco i taccuini “stile Moleskine” prodotti dalla AmazonBasics, che costano praticamente la metà dei Moleskine di pari formato e qualitativamente valgono almeno il triplo. Il mio standard è la versione base a righe.

Setting #1 – prima pagina a destra

La prima cosa che scrivo è l’anno di riferimento (ribadito magari anche da un’etichetta esterna), alcune informazioni sul proprietario del taccuino (lo dovessi dimenticare da qualche parte), e una rapida legenda delle icone che utilizzo per denotare il testo.

Nel mio caso la legenda è semplicissima, ma potete tranquillamente usare quella standard proposta dall’autore di questo sistema, che riporto direttamente.

Nel mio caso utilizzo una versione molto semplificata di questa che vedete. Al posto del punto, uso un cerchietto, che posso barrare con una X completa nel caso di “task completato”, oppure con un segno > nel caso il task sia stato spostato altrove (concetto importantissimo nel bullet journaling). Sia gli eventi che le annotazioni, invece, recano a inizio testo un banalissimo asterisco. Questi simboli mi bastano e mi avanzano, ma è chiaro che potete aggiungere quelli che ritenete più opportuni.

Setting #2 – l’indice

Le prime due pagine (che non sono ancora vere e proprie “pagine numerate” del taccuino) vanno utilizzate come indice, ossia come riferimento per andare a trovare gli argomenti, esattamente come in un libro. Il mio consiglio è di avere di fronte le pagine sempre “a coppie”, e di iniziare da sinistra, di modo da avere sempre due pagine aperte di fronte a noi.

Insomma, per l’indice servono (le prime) due pagine (non numerate): pagina A a sinistra e pagina B a destra.

L’indice completo dovrà recare questa dicitura:

Pagine 1 – 4Year Log
/
Pagine 5 – 6
Pagine 7 – 8
Pagine 9 – 10
Pagine 11 – 12
Pagine 13 – 14
Pagine 15 – 16
Pagine 17 – 18
Pagine 19 – 20
Pagine 21 – 22
Pagine 23 – 24
Pagine 25 – 26
Pagine 27 – 28
Month Log
Gennaio
Febbraio
Marzo
Aprime
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto
Settembre
Ottobre
Novembre
Dicembre
Pagine dalla 29 alla [numero]Day Log
Pagine dalla [numero+1] alla fineListe Speciali

Nota bene: Ci sono taccuini che hanno già le pagine numerate. Questo è ovviamente molto comodo, ma non essenziale, visto che le pagine si possono anche, come altrettanto ovvio, numerare a mano, oppure anche numerare solo per l’essenziale (fino alla 28, per intenderci).

Nel mio caso io numero solo le pagine fino alla 28, e le pagine successive (day log) le numero mentre le scrivo.

Siccome le liste speciali le tengo alla fine, parto dall’ultima pagina, come se avessi un secondo taccuino speculare.

Se le liste speciali cominciano a diventare tante, allora il consiglio è di provvedere a una qualche forma di numerazione delle stesse, riportata in indice.

Setting #3 – year log

Consta di quattro pagine perché su ciascuna vengono posti (in alto, in centro, e in basso) i nomi di tre mesi contigui, per esaurire l’intero anno. Quindi pagina 1 (sinistra) con gennaio, febbraio e marzo; pagina 2 (destra) con aprile, maggio e giugno; pagina 3 (sinistra) con luglio, agosto e settembre; e infine pagina 4 (destra) con ottobre, novembre e dicembre.

A cosa serve questo annual log? Semplicemente ad avere un luogo dove annotare i macro-progetti da svolgere nell’anno, con una razionale e ragionevole individuazione del mese di riferimento.

Nota bene: Questo spazio NON è assolutamente un’agenda dove segnare appuntamenti e “goal” mensili, ma solo un punto di riferimento per annotare quanto detto. L’agenda vera e propria sarà invece quella che vedremo tra un attimo nel month log.

Setting #4 – month log

Le pagine dalla 5 alla 28 (si veda tabella di prima) sono il cosiddetto month log, ossia lo spazio dove annotiamo (1) gli appuntamenti che devono essere svolti (come ovvio) esattamente in un tal giorno (salvo spostamenti) dello specifico mese (che vanno nella pagina a sinistra con numero dispari) e (2) i “goal” che devono essere raggiunti in quel mese, senza indicazione di giorno specifico (che vanno nella pagina a destra con numero pari).

IMPORTANTE – Io non sono solito annotare per filo e per segno, nella pagina di sinistra, tutti i giorni del mese, numero per numero, nome per nome. Mi sembra assurdo. Se devo annotare una data nei primi del mese, la annoto in alto, altrimenti, se la data è centrale o a fine del mese, verso il centro o verso il basso. Ho detto che è un sistema analogico, certo, ma un banale calendario (cartaceo o digitale che sia) credo che lo abbiamo tutti per vedere se un certo giorno è sabato, lunedì o domenica. Lo stesso dicasi per mesi con 28 o 31 giorni.

Setting #5 – day log

Dalla pagina 29, non si utilizza più la scansione “a quadranti” destro e sinistro. Potete tranquillamente scrivere di seguito, annotando la data del giorno e scrivendoci sotto tutti i task e le annotazioni che desiderate. Una pagina può tranquillamente contenere più giorni, perché ovviamente ci possono essere giorni in cui le annotazioni sono poche.

Setting #6 – liste speciali

Il bullet journal è ottimo per annotare liste speciali, ovviamente separate da tutto il resto, ma connesse e parallele. Le liste possono contenere qualsiasi cosa debba essere mappata nel tempo ed eseguita: l’andamento di una dieta, film e libri da acquistare, obiettivi da raggiungere senza specifico riferimento al mese dell’anno, etc…

Come si usa il BuJo

Farlo è molto più semplice di qualsiasi spiegazione. Quindi, faccio alcuni esempi:

  • Ho un appuntamento il 3 febbraio con un cliente; vado alla pagina 7, che riporta appunto gli appuntamenti da svolgere esattamente in un certo giorno del febbraio 2023, e in alto (visto che siamo i primi di febbraio) annoto un cerchietto con la data e l’ora, nonché ovviamente la descrizione dell’appuntamento. Una volta effettuato, pongo una X sul cerchietto.
  • Entro i primi di febbraio 2023 devo pagare la sosta comunale; vado alla pagina 6, che riporta le cose da fare “genericamente” nel mese di gennaio, e a fine pagina (visto che a me interessa che la cosa sia fatta entro i primi del mese dopo) annoto un cerchietto con la descrizione della cosa da fare. Una volta fatta, la spunto con una X, nel solito modo.
  • Il primo gennaio mi accorgo di aver finito il cibo del gatto; lo stesso giorno, quindi esattamente a pagina 29, sotto la data del primo gennaio, annoto un cerchietto che riporta la cosa. Se riesco a farla subito, bene, la spunto immediatamente e passo ad altro. Altrimenti, se non sono riuscito a farla il giorno stesso (cosa difficile nel mio caso, visto che la mia gatta è un ottimo promemoria… ma questa è un’altra storia) in fase di controllo giornaliero o la lascio “da fare” e la spunto (esattamente dove sta) il giorno dopo, oppure la sposto barrandola con il simbolo > ricopiandola nei task del giorno dopo, oppure altrove. (Nel mio caso preferisco lasciarla lì per barrarla il giorno dopo, visto che stiamo parlando di azioni che riguardano un intorno temporale molto limitato, ma queste sono cose legate al gusto e allo stile personale.)
  • Se entro maggio 2023 intendo cogliere i frutti di una nuova dieta, allora segno “nuova dieta” nella pagina year log contenente il mese di maggio (che è nel nostro caso la numero 2), con un opportuno cerchietto, e mi occupo di tenere traccia di questo proposito in una lista speciale a fine taccuino che intitolerò “dieta” che giornalmente controllerò, fino a spuntare il task di cui sopra.
  • Se il primo gennaio mi dicono che un mio importante cliente ha un nuovo sito, lo annoto direttamente nel day log del primo gennaio, con un asterisco. Questa informazione “tempificata” può tornarmi utile in fase di rilettura.
  • E via così…

Considerazioni finali

A cosa serve effettivamente il BuJo?

Essenzialmente, a gettare una volta per tutte i foglietti volanti pieni di annotazioni che verranno certamente perse, o peggio non saranno utili alla loro effettiva implementazione.

Nello specifico, il BuJo serve a concentrarsi organizzativamente utilizzando un solo strumento al posto di decine di strumenti disorganizzati e non connessi tra loro.

A cosa NON serve il BuJO?

Se il vostro task somiglia a una frase del tipo “conquistare il mondo”, oppure, più banalmente, “fare un avanzamento di carriera e guadagnare di più”, allora il BuJo può certamente permettervi di seguire questi “auspici” una volta trasformati in task eseguibili, ma di certo non può dirvi come trasformarli.

In altre parole, il BuJo serve a organizzare con facilità azioni per noi possibili e conosciute.

Insomma, può dirvi quando pagare una rata, ma non può dirvi come ottenere i soldi per pagarla.

Il consiglio è di separare nettamente la prassi organizzativa rappresentata dall’uso quotidiano del BuJo dall’elaborazione creativa che nel BuJo può essere certamente annotata come obiettivo, auspicio o progetto, ma deve necessariamente svilupparsi altrove, in taccuini dedicati appunto all’elaborazione e al pensiero approfondito.

Il Palazzo: Racconto

Nessuno sapeva chi avesse costruito il palazzo, né quando, né perché. La sua storia di vetro e cemento affondava con tutta probabilità in tonnellate di carte che giacevano in uno o più uffici del mondo di fuori. All’interno, il vuoto sovrastava abbondantemente la rada popolazione, e nessuno sembrava avere la più pallida idea di quale fosse la storia del suo vicino di stanza.

Negli androni, ogni tanto si svolgevano eventi carichi di improvvisi entusiasmi: concorsi pianistici, pranzi, riunioni, feste allietate da ghirlande di carta crespa colorata. Il caos che in un attimo si creava in una zona del palazzo veniva immediatamente neutralizzato dal silenzio che chiunque avrebbe potuto ascoltare fuggendo poco più in là, in uno snodarsi di cunicoli e nuovi vani del tutto deserti, estesi in ogni direzione. L’origine dell’acqua corrente e del costante tepore che trasudava naturalmente da ogni muro erano sconosciuti, o ignorati, anche perché ormai nessuno si sarebbe posto il problema di uscire per testare condizioni atmosferiche o logistiche alternative: il palazzo era ovunque, e il panorama grigio pallido che si poteva scrutare dalle gigantesche finestre di cui ogni cubicolo era dotato veniva ormai percepito, dopo mesi o anni di consuetudine, come una musica di sfondo, come quella che qualcuno avrebbe potuto ricordare, pur non ricordandone l’origine.

Tutti, infatti, o almeno tutti quelli che si potevano incontrare nel palazzo, erano consapevoli di un mondo che al di fuori annoverava aeroporti e sale d’attesa, scuole e ville private, monumenti e manufatti di un remoto passato la cui storia non aveva ormai alcun significato, ma era in qualche modo esistita tanto da risultare fissata almeno come scolorito archetipo nella mente di ciascuno. Eppure, nessuno arrivava a pensare che la possibile esistenza di tutte quelle cose, o solo di alcune, potesse avere un ruolo nella sua vita concreta.

Ogni divertimento e ogni riflessione, così come ogni tentativo di scovare qualcosa di nuovo e interessante, avvenivano nel palazzo: la scoperta di un vinile o di una partitura, di un computer definitivamente non funzionante, di una foto, di un quadro. Fatti e avventure si svolgevano e dissolvevano in attesa d’altro, come assorbite dal silenzio e dal buio che ogni sera accompagnava il sonno, in attesa di un nuovo giorno.

Per la Scrittura in Movimento (in Italia)

Esistono dei prodotti, essenzialmente statunitensi, che qui in Europa, ma soprattutto in Italia, arrivano molto a fatica e con maggiorazioni di prezzo oggettivamente esorbitanti e proibitive. Tra questi ci sono sicuramente i taccuini della Field Notes Brand, autentici oggetti di culto per gli amanti (come me) della scrittura analogica on the go.

Tempo fa, per averne qualcuno, mi sono rivolto al mercato britannico, che solitamente acquisisce prodotti dagli States rivendendoli a un prezzo onesto, con spese di spedizioni altrettanto ragionevoli. Nello specifico, li ho acquistati dalla Nero’s Notes, che debbo dire si è distinta per l’ottimo e cordiale servizio.

Nonostante questo, mi sono chiesto: quali possono essere le valide alternative che possano efficacemente sostituire l’esatta funzione di questi notes tascabili?

Dopo aver acquistato e testato veramente molti prodotti, sono giunto alle seguenti conclusioni, che vorrei condividere con tutti i miei lettori, specie con quelli, appunto, appassionati come me di questo genere di recensioni.

Il prodotto che in assoluto più si avvicina al classico field notes a righe tinta kraft, che vedete qui in foto, è certamente il seguente:

Taccuino slim A6 a righe grigio chiaro, della Muji

Il costo è di euro 2,75. Potrebbe sembrare elevato, ma non lo è, specialmente se consideriamo che tre taccuini Field Notes vengono in USA solitamente venduti a una decina o dozzina di dollari. La dimensione è la stessa, e la carta risulta di qualità eccelsa, anzi, addirittura superiore e fountain pen friendly.

A questo punto, visto che la stessa FNB produce una penna a sfera in qualche misura “standard”, e qualche tempo fa addirittura vendeva, per i più esigenti, la celeberrima fisher space pen, ovvero la penna degli astronauti che consente di scrivere in tutte le posizioni, mi sono anche chiesto quale possa essere “da noi” la penna migliora da abbinare al notes giapponese di cui sopra.

Anche in questo caso sono giunto ad una conclusione, che potete facilmente acquistare su Amazon a un prezzo veramente competitivo:

Tomboy AirPress Pen BC-AP65-B

Ce ne sono di tantissimi colori, tutti molto accattivanti e con un pizzico di estetica “tactical” che risulta perfettamente coerente con la funzione (la mia è trasparente). La penna è anche pressurizzata, esattamente come la sua ben più costosa sorella americana fisher space.

La penna in questione ha un meccanismo “click and go” veramente perfetto e comodo, che vi permette di scrivere al volo in ogni condizione possibile, anche dal basso verso l’alto, per la meccanica di pressurizzazione dell’inchiostro caratteristica del prodotto.

Goo Goo Monster Muck Mash

Di Wednesday, serie certamente ben fatta, anche se per i miei gusti un tantino troppo da psicodramma adolescenziale, mi resta più che altro la grande curiosità relativa alla band The Cramps, la cui Goo Goo Muck è stata utilizzata per la nota danza tormentone di Mercoledì.

A latere, mi ricorda ovviamente moltissimo la celebre festa di Halloween della prima stagione di Sabrina. Credo che le somiglianze musicali con Monster Mash siano evidenti.

Comunque, la curiosità di cui sopra mi ha spinto ad approfondire questa band “tra Settanta e (soprattutto) Ottanta (ma non solo)”, di cui mi sto ascoltando questo Psychedelic Jungle (1981). Lo chiamano psychobilly.

https://www.youtube.com/watch?v=7TR9_a3mc7c&t=321s